Cultura e Società

La ragazza del secolo scorso

Rossana Rossanda (2005)

Torino, Einaudi, euro 18

 

L’autobiografia di Rossana Rossanda coglie di sorpresa: è risaputo che l’Autrice sia persona particolarmente riservata, restia a parlare del suo privato. Perché avrà scritto un libro su di sé? A rispondere sono proprio le domande da cui prende avvio il lavoro: “Questo non è un libro di storia. E’ quel che mi rimanda la memoria quando colgo lo sguardo dubbioso di chi mi è attorno: perché sei stata comunista? perché dici di esserlo? che intendi? ” Ecco dunque le ragioni di questa testimonianza, in cui storia del Novecento e vicende personali si intrecciano alle vicende del comunismo: “il grande tentativo di assalto al cielo”, come lo definisce Rossanda, in una recente intervista. 1

 

Recensioni

 

L’Autrice parla di sé senza compiacersi, critica, autoironica, diretta eppure pacata, a suo agio nel vivido linguaggio degli affetti. Si ritrovano, in queste pagine, la profondità, le contraddizioni, lo spessore etico che sottende le sue scelte talvolta laceranti e le sue numerose battaglie politiche. Leggendo, sosto su un passo, curioso e toccante, in cui Rossanda recupera uno dei primi ricordi della propria vita: “[…] scendo le scale, la mamma mi tiene per mano, mi ha vestita tutta di nuovo con un cappottino di orsetto bianco. Ero pervasa del mio splendore e del suo orgoglio, andavamo fuori per farci vedere. Sta’ attenta, disse, quando apparve sotto di noi una donna in ginocchio che lavava i gradini, un gran secchio di acqua sporca accanto. […] Sta di fatto che quei gradini scivolosi e quella creatura curva mi attirarono nel secchio come una calamita. Non vi inciampai, ci andai dentro. Tumulto, mamma piangente di collera, colpa. L’orsetto si dovette tingere di giallo. Tutta in bianco non mi ricordo più” (p. 10).

Sarà solo “attrazione fatale per i guai”, come commenta l’Autrice? A me viene in mente Glauco Carloni che, a proposito della professione di psicoanalista, affermava che la motivazione trae spesso origine da “un’inquietudine che sospinge [dal nostro interno] a curare gli altri”. Una sorta di vocazione precocissima, dunque, dove vocatio non indica una chiamata sentita come esterna, come è d’uso nella terminologia religiosa, ma come qualcosa che proviene dal nostro mondo interno, come ci ha insegnato a pensare Freud, da “L’avvenire di un’illusione” in poi2. Chissà se nelle misteriose ragioni di quel capitombolo è già insito quel quid che renderà una brillante ragazza del secolo scorso, nata in una famiglia di intellettuali orgogliosi di esserlo, tanto capace di udire il “sospiro della creatura oppressa”? 3

A cura di Nelly Cappelli   

 

 

1 (Che tempo che fa, Rai3, 28/1/2006)

2 Cfr. Carloni G. “Sofferenza psichica e vocazione terapeutica”. In (a cura di ) Di Chiara G. Itinerari della psicoanalisi, Torino, Loescher, 1982.

3 Marx K.H. (1843). Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione. Annali franco-tedeschi (1844).

 

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