La Cura

Sul pensiero clinico: incontro tra psicoanalisi e salute mentale. G. Saraò

Parole chiave: servizi di comunità, setting allargati, setting multipli, gruppo di lavoro, pazienti complessi Sul pensiero clinico: incontro tra psicoanalisi e salute mentale G. Saraò Riassunto Il lavoro s’interroga sul divario e le difficoltà di confronto tra cultura psicoanalitica e cultura sanitaria. Nella dimensione psicoanalitica, nonostante le ricerche di questi anni sulle coppie-famiglie-gruppi prevale l’idea […]

Psicoanalisi e Sanità
Sul pensiero clinico: incontro tra psicoanalisi e salute mentale. G. Saraò

Parole chiave: servizi di comunità, setting allargati, setting multipli, gruppo di lavoro, pazienti complessi

Sul pensiero clinico:

incontro tra psicoanalisi e salute mentale

G. Saraò

Riassunto

Il lavoro s’interroga sul divario e le difficoltà di confronto tra cultura psicoanalitica e cultura sanitaria. Nella dimensione psicoanalitica, nonostante le ricerche di questi anni sulle coppie-famiglie-gruppi prevale l’idea che il rapporto individuale rimanga centrale. Con lo sguardo rivolto ai servizi di comunità la questione fondamentale è il rapporto sempre difficoltoso tra individuo e gruppo, tra presa in carico individuale e il funzionamento del gruppo di lavoro. Spesso il gruppo multi professionale è considerato dall’istituzione sanitaria come un pericolo, talvolta uno scandalo che si scontra con la l’organizzazione aziendale e la cultura prestazionale.

Un breve preambolo

Questo intervento, nasce con l’idea di aprire un confronto tra chi è interessato a uno scambio verace sull’istituzione che cura (De Martis, Petrella, 1971) e sulla condizione in cui lavorano gli operatori della salute mentale; con la consapevolezza che non possiamo perdere, come psicoanalisti, i contatti con i contesti sanitari e soprattutto non possiamo stancarci d’interrogare la complessità dei fenomeni clinici della nostra contemporaneità.

Chi ha lavorato a lungo con passione nella salute mentale non cessa di porsi una questione che ha sintetizzato con efficacia S. Bolognini (2012): come mai da tempo si è creato tra psicoanalisi e salute mentale uno strappo culturale?

Da qui nascono numerose domande: condividiamo l’idea che come cittadini e come comunità scientifica abbiamo bisogno di servizi di salute mentale ben funzionanti? Possibile che gli psicoanalisti non si sentano a disagio di fronte ad un problema etico ma anche scientifico di grande portata? Dobbiamo rassegnarci alla dittatura della farmacologia e del riduzionismo? Come contribuire ad un confronto, con le istituzioni sanitarie, con la consapevolezza che è in atto un processo crescente verso la medicalizzazione (vedi il Manifesto della Salute Mentale, 2022)?

Come mai, in questi anni, pur non mancando gli approfondimenti psicoanalitici sul funzionamento dei gruppi di lavoro e sull’istituzioni di cura non sembrano radicarsi nella cultura condivisa?

La cultura psicoanalitica ha prodotto innumerevoli studi negli anni 80 e 90 del secolo scorso sul gruppo multi professionale nei servizi della salute mentale come strumento indispensabile per affrontare i casi complessi, sulla base di quegli studi e dell’esperienza di molte generazioni di operatori non è più possibile, come psicoanalisti, riproporre semplicemente la relazione terapeutica individuale come asse esclusivo su cui strutturare l’intervento nella salute di comunità, al contempo è esperienza condivisa die come sia difficile valorizzare il lavoro di gruppo senza ridurlo a una semplice necessità organizzativa.

Osserviamo che spesso nei servizi di comunità prevale, in forma strisciante, la prassi dell’istituzione totale che riduce il dolore mentale a sintomo con la grave conseguenza che viene offuscato il contesto a cui il soggetto appartiene. Tutto ciò produce nel tempo ripetizione negli interventi e cronicità, con il rischio di abbandono dei pazienti più complessi e marginalità.

Quali modelli di intervento e quali strumenti la psicoanalisi propone per affrontare il dolore mentale nei servizi di comunità?

Sul pensiero clinico

Nella cultura medica l’ascolto è finalizzato per scoprire-configurare ciò che non è visibile e tangibile immediatamente. Il sintomo va interrogato in attesa di capire, spesso in attesa di esami strumentali che confermino l’ipotesi diagnostica, nella direzione di comprendere con la conseguente ricerca di un rimedio e di una possibile cura. Spesso c’è bisogno di un tempo di attesa per trovare una via rispetto ad un quid misterioso che porta il paziente.

Chi deve valutare si trova in una posizione non sempre comoda, che prevede una fase di sospensione del giudizio, in cui nascono dubbi ed incertezze, in attesa di una configurazione possibile, una dimensione che necessita la possibilità di tollerare di non sapere e di non saturare quello che ancora non si conosce, una sorta di crepuscolo della coscienza.

Nella salute mentale per ascoltare e osservare un paziente è necessario costruire un setting in cui dare rilevanza a quanto accade; mentre il setting esterno può variare (ambulatorio, ospedale, domicilio del paziente, comunità terapeutica ecc.), rimane centrale l’assetto mentale che l’operatore va ad assumere, un setting interno, un assetto di lavoro che consente di esplorare e pensare al fenomeno clinico in base all’esperienza e alle teorie cliniche della propria formazione.

La psicoanalisi si è sempre interrogata su come ascoltare il paziente, su come il terapeuta possa sintonizzare il proprio inconscio avvicinandosi all’altro, per esplorare quel qualcosa che non è conosciuto e che appartiene al paziente. Una lingua misteriosa, spesso frammentaria che va, nel tempo della cura, valorizzata e scoperta attraverso i sintomi, i sogni, i lapsus, gli atti mancati e anche atti di cura codificati per es. ricostruendo la storia familiare e personale del paziente. Uno stare accanto in un setting di ascolto e di presenza ben lontano dalla anamnesi medica classica che è finalizzata ad ordinare dei fatti clinici, a trovare rapidamente una soluzione ad un sintomo-malattia.

Nel lavoro clinico della salute mentale diventa centrale l’incontro tra la parola pronunciata e la sua musica-rumore, perché è da questo incrocio che assume rilevanza il senso della comunicazione con il paziente. Dati sensoriali che si sommano alla presenza dei corpi e alla gestualità che li accompagna, alle posture del paziente ma anche del modo dell’operatore di stare nel setting di ascolto come al modo di tacere o parlare. Inoltre, questo è specifico del lavoro psicoterapeutico, c’è una risonanza di quanto sta accadendo dentro la nostra mente-corpo che si traducono in segnalazioni molto importanti che spesso possono aiutarci od ostacolarci. C’è uno scambio continuo tra proiezioni transferali del paziente e i vissuti contro transferali dell’operatore che come una cassa armonica risuona e questo rappresenta un grande strumento di conoscenza. Pensiamo a quando il paziente ci fa spaventare o annoiare, o quando diventa prolisso e ci viene la voglia di andar via con la mente da un’altra parte e ci rifugiamo in lontane fantasticherie.

Il tema centrale della salute mentale è la soglia e i relativi scambi (Kaes, 2007) tra l’individuo e il gruppo, tra il paziente e il suo contesto, tra l’operatore che ha la responsabilità dell’intervento e il suo gruppo di lavoro. La questione successiva è cosa transita tra un setting e l’altro, quali materiali psichici sono in giacenza, con quali strumenti il gruppo di lavoro affronta tale intreccio di fatti ed emozioni? Il dolore psichico con cui l’operatore viene a contatto ha un valore conoscitivo? Come metabolizzare qualcosa che intossica e occlude l’operatore e il gruppo di lavoro? Come non rimanere da soli rispetto alla sfida della complessità (Morin, 2012) che rimanda continuamente ad una dimensione multifattoriale della malattia mentale?

Pensiamo al valore dei setting multipli e allargati che si sviluppano durante il percorso terapeutico di un paziente (SPDC, comunità, domicilio, Centro di Salute Mentale…) che comporta lavorare in connessione e richiede agli operatori che si occupano del caso ad interrogarsi su quale faticosa integrazione funzionale bisogna costruire nel tempo. Inoltre, per evitare interventi caotici e confusivi (per il paziente e il suo contesto), va spesso definita e valorizzata la presenza di un terapeuta di riferimento che, come persona e attraverso la sua presenza, caratterizza lo stile del lavoro terapeutico (Saraò e Tessari, 2018). In tali contesti è indispensabile personalizzare l’incontro tra la richiesta (il disagio mentale dell’individuo e del suo contesto) e il servizio inteso come un sistema di cure predisposto ad accogliere e ridefinire una domanda di aiuto spesso difficile da decodificare (Perini, 2007).

Il fisico Carlo Rovelli (2014) ci ricorda che persino nella fisica dei quanti l’osservatore influenza i fenomeni e che questi non sono mai oggettivi, anche il ricercatore in un laboratorio sperimentale influenza in qualche modo quello che accade. Il punto di osservazione fa parte dell’esperimento e i dati conclusivi di questo vanno considerati alla luce dello sguardo di chi ha promosso ed osservato l’esperimento.

Tutto questo riguarda l’operatore della salute mentale e ci interroga sulle teorie implicite che condizionano continuamente nell’osservazione dei fatti clinici e continua a porre di un dilemma irrisolvibile: come far dialogare la cultura umanistica con quella scientifica?

Una cultura scientifica aperta il più possibile ai contesti sociali e sanitari, dalla parte di chi ha meno potere, ovvero i pazienti cosiddetti difficili che hanno bisogno di un intervento multi professionale e di una rete di servizi ben funzioni per contrastare lo stigma ed evitare la riproposizione di un’istituzione curante che reprime ed isola.

E’ notorio che il dolore mentale e la sofferenza psichica producono naturalmente fenomeni che rischiano di ridurre il soggetto ad un sintomo o ad una diagnosi, quando non c’è un lavoro di decodifica della domanda e dei bisogni specifici di ciascun paziente e gruppo familiare prevalgono interventi basati prevalentemente sull’emergenza (Burti, 2017).

Da questo punto di vista sono anni difficili per i servizi di salute mentale che pur avendo da diversi decenni un riconoscimento come parte integrante del servizio sanitario, si trovano ad affrontare una crescente richiesta di interventi socio-sanitari (Riefolo, 2001) che saturano la possibilità di ascolto e d’intervento clinico, una richiesta che ci fa interrogare sul malessere sociale (Kaes, 2012), ma che non può trasformarsi in pura medicalizzazione. Pensiamo ai grandi cambiamenti di psicopatologia che i più anziani di noi nel tempo hanno osservato: psicosi schizofreniche e gravi depressioni melancoliche in cui spesso prevalevano la catatonia e la sindrome di Cotard o sintomi in cui era difficile entrare in contatto con una sofferenza primitiva ed inaccessibile sono molto ridotti, ora ci troviamo di fronte a scenari psicopatologici in cui dominano le sindromi narcisistiche e borderline, con quadri che impegnano spesso il corpo attraverso l’enorme gamma di disturbi alimentari e somatoformi, che rimandano ad una impossibilità a definirsi come soggetti, una dimensione adolescenziale della mente che non riesce ad andare avanti e ritorna continuamente ad una nostalgica fantasia di onnipotenza e immortalità. Viviamo in un’epoca in cui c’è una grande possibilità di scambi (pensiamo alle reti virtuali), ma in cui la sofferenza psichica è diventata diffusa e l’infelicità genera un consumo senza piacere, uno stordimento che allontana dal pensare e dal sentire (Kaes, 2010).

La diagnosi, i farmaci, la cura psichiatrica rappresentano forme di conoscenza e contenimento, con i pazienti difficili, che in alcuni passaggi si configurano come preziosi strumenti di lavoro. Ma se ci troviamo d’accordo sul fatto che la salute mentale cura attraverso la costruzione di un’affidabile relazione terapeutica (individuale e allargata), come integrare le competenze professionali con la persona dell’operatore, come tutto questo può realizzarsi in un gioco di squadra? Un lavoro di salute mentale di comunità prevede interventi complessi e richiede altresì di evitare di perdere il progetto terapeutico con il paziente.

Lavorare in un servizio di salute mentale di comunità significa, per gli operatori, confrontarsi continuamente con il tema del contesto in cui si esprime la sofferenza mentale. Sappiamo come psicoanalisti che molto dello psichico individuale, soprattutto nei casi difficili, si esplicita nel contesto familiare e nello spazio relazionale con gli altri: pensiamo a tutti i meccanismi proiettivi e di dislocamento nella realtà a cui il soggetto ricorre per lenire il proprio dolore mentale (Nicolò, 2000). Ne consegue l’opportunità di un ascolto e di un’osservazione attenta a tutto quello che bussa e cerca di entrare nella stanza dell’incontro terapeutico; i fenomeni che chiedono udienza spesso si presentano come fastidiosi disturbi della comunicazione e che quando sono decodificati quasi sempre portano informazioni importanti anche sulla psicopatologia dell’individuo.

Da un lato è fondamentale considerare il versante soggettivo di un evento, ma al tempo stesso, occorre pensare al corrispettivo gruppale e collettivo dell’evento stesso; tutto questo tutelando sempre e comunque la specificità della relazione con il paziente.

In tutta questa complessità vanno considerate, e non sono per niente marginali, le dinamiche del gruppo di lavoro e dell’istituzione sanitaria. Il sistema di cure ha una storia, uno sviluppo, delle vicissitudini che richiedono una pensabilità per potere essere valorizzate, perché rappresentano uno strumento di lavoro indispensabile, è importante per es. riflettere sulla storia della leadership in quel servizio, a come si è costituita nel tempo la cultura del servizio, sui modelli teorici prevalenti che ispirano il funzionamento degli operatori (Correale, 2006).

Come psicoanalisti abbiamo una lunga storia con grandi competenze teoriche e cliniche che si sono sviluppate soprattutto sulla relazione terapeutica individuale, nella nostra comunità scientifica, fa più fatica a consolidarsi un interesse genuino per lavorare con i gruppi, le coppie, le famiglie e i funzionamenti istituzionali: in poche parole a confrontarsi consetting diversi rispetto a quello classico duale. Sappiamo anche che queste ricerche sul confine hanno portato linfa vitale, hanno rinvigorito la falda psicoanalitica, creando una polifonia e favorendo la nascita di nuovi modelli di funzionamento mentale. Pensiamo agli sviluppi delle neuroscienze o alla ricerca di nuovi modelli teorici, come il prevalere del filone della psicoanalisi relazionale, o le proposte di Kaes (2007, 2010, 2012) sui processi di soggettivazione e la conseguente proposta di una “terza topica” che possa contenere i fenomeni gruppali e contestuali.

Si può affermare che l’intrapsichico ha bisogno, sempre di più, di un rapporto con la dimensione interpersonale dell’incontro e questo apre un grande confronto con la salute mentale di comunità (Boccara, 2020); in poche parole possiamo considerare i servizi di comunità come un laboratorio di ricerca, una finestra sulla nostra contemporaneità. Gli scambi con il campo psicoanalitico sono una fonte preziosa di conoscenza di cui non possiamo fare a meno.

Giuseppe Saraò: giusepp.sarao@gmail.com

Bibliografia

– Boccara P.: Relazione XIX Congresso SPI, 4-7 febbraio. Panel “ Inconscio e istituzioni”, 2020.

– Bolognini S. (2012): Funzione sociale della psicoanalisi, in: SPIWEB.

– Burti L. (2017): Attualità di Goffman: quanto contribuisce alla carriera morale di malato mentale la psichiatria di comunità italiana contemporanea? Psicoterapia e scienze umane, 51,2: 211-246. DOI: 10.3280/PU2017-00- 2003.

– Correale A. : Area traumatica e campo istituzionale. Borla, 2006.

– De Martis D., Petrella F. (1971): Approccio semiologico all’istituzione psichiatrica. Riv. Psic. (17) (1): 67-81.

– Kaes R. (2007): Un singolare plurale, quali aspetti dell’approccio psicoanalitico dei gruppi riguardano gli psicoanalisti?  Borla.

– Kaes R. (2010): Il lavoro dell’inconscio in tre spazi della realtà psichica. Un modello della complessità. Rivista di Psicoanalisi, 56: 671-685.

– Kaes R. (2012). Il malessere. Borla.

– Morin E. (2012): Pensare la complessità, per un umanesimo planetario. Mimesis.

– Nicolò A. M. (2000). La famiglia e la psicosi. Un punto di vista psicoanalitico sulle patologie transpersonali. In “Quale psicoanalisi per la famiglia”. F. Angeli, 2005

– Perini M.: L’organizzazione nascosta, dinamiche inconsce e zone d’ombra nelle moderne organizzazioni. F. Angeli, 2007.

– Riefolo G.: Psichiatria prossima. La psichiatria territoriale in una epoca di crisi. Bollati- Boringhieri, 2001.

– Rovelli C.: Sette brevi lezioni di fisica. Adelphi, 2014.

– Saraò G., Tessari G. (2018). Oltre le colonne d’Ercole, i gruppi e la gruppalità nei sistemi di cura. Introduzione Rivista Interazioni, 1-2018/47.

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